Quelli di voi che hanno familiarità con il mio lavoro sul poeta italiano, Giuseppe Ungaretti, sapranno che nel primo capitolo del mio libro intitolato Mirage and Camouflage: Hiding behind Hermeticism in Ungaretti’s L’Allegria, ho illustrato le connotazioni proto-fasciste di gran parte della poesia di guerra di Ungaretti, connotazioni che erano state ignorate dai precedenti critici che scrivevano su L'Allegria, e che tendevano a vedere le poesie come espressione dell'orrore della guerra e come promozione del concetto di ‘fratellanza’ fra tutti gli uomini. In questi giorni, sto realizzando una nuova edizione italiana del mio libro su Ungaretti. È un’edizione rivista che incorporerà molto materiale nuovo sul poeta. Qui porto un esempio di ciò che ho da dire sulla celebre poesia, ‘Veglia’, seguito da un nuovo confronto del suo famoso verso, ‘Non sono mai stato / tanto / attaccato alla vita’, con un’affermazione sorprendentemente simile a quella di Cavaradossi nella Tosca di Puccini: ‘E non ho amato mai tanto la vita!’. Nessuno critico fino ad oggi sembra aver riconosciuto questa eco tra Ungaretti e Puccini, per cui, spiego brevemente nell'ultima sezione di questo articolo come e perché Ungaretti ha voluto fare un'allusione alla famosissima aria italiana.
Come tante delle poesie de L’Allegria,1 l’enfasi in ‘Veglia’ sembrerebbe essere predominantemente sugli orrori della guerra vissuti da Ungaretti che si offrì volontario per combattere come soldato italiano e fu inviato sul fronte nella regione del Carso. Vi è descritta una notte di veglia passata nella trincea di fianco ad un compagno morto:
Un’intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
Le più comuni tecniche poetiche sono impiegate per creare la tensione e il dramma dell’incidente: l’uso pleonastico di ‘intera’ nel primo verso rinforza l’apparente natura infinita di questa notte particolarmente ripugnante; l’allitterazione della ‘t’, ottenuta da un’abbondanza di participi passati, aggiunge una componente sonora di spari ripetuti (‘buttato’, ‘massacrato’, ‘digrignata’, ‘penetrata’). Le immagini molto fisiche sono cariche di risonanze: la descrizione della bocca ‘digrignata’ dell’amico morto, rivolta alla luna piena, allude alla leggenda del lupo mannaro, che sottolinea sia l’esile distinzione tra uomo e bestia in tempo di guerra, sia la cruda ‘anormalità’ della guerra stessa. La descrizione delle mani congestionate (a causa del sangue coagulato) che ‘penetrano’ il silenzio del poeta, suggerisce l’idea che le ferite della guerra siano inflitte non soltanto sui corpi, ma anche sulle menti; che la visione di corpi congestionati e mutilati ‘penetri’ e lasci indelebili cicatrici nella psiche dei soldati.
A seguito della sequenza citata sopra - momento di climax per la sua lunghezza, sostenuta dalle preposizioni ‘vicino a’, e ‘con’ usata due volte, che deliberatamente ritardano l’ingresso del verbo principale - viene raggiunto il punto culminante della poesia:
ho scritto
lettere piene d’amore.
Unite, queste due righe avrebbero formato un perfetto endecasillabo. Ma dividendo l’endecasillabo in due, il poeta attira l’attenzione del lettore sulle singole componenti della frase. L’isolamento di ‘ho scritto’ porta con sè l’idea che l’azione stessa dello scrivere sia l’unica via di salvezza per il poeta circondato dagli orrori della guerra. Ciò che il poeta sceglie di scrivere - le ‘lettere piene d’amore’ - suggerisce un tentativo di esorcizzare le emozioni negative, quali rabbia o vendetta, con sentimenti affermativi della vita, quale l’amore. Quest’ idea è rinforzata nella breve sezione finale della poesia: sotto la minaccia della morte, l’istintiva reazione del poeta è di ‘attaccarsi’ alla vita con ancora più grande tenacia:
Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita.
L’ambivalenza che può essere trovata in ‘Veglia’, ha origine in questi tre ultimi versi. L’analisi della poesia presentata sopra propone che il concentrarsi di Ungaretti su concetti quali l’amore, la vita e lo scrivere sia dovuto ad un istintivo rifiuto della negatività della guerra e della morte. Quest’ è l’interpretazione ‘convenzionale’ della poesia. Ossola,2 per esempio, sostiene che il componimento denunci molto chiaramente la morte, e le opponga la ‘vita’ della scrittura. Ma se nell’analisi della poesia si volesse dare maggiore importanza ai versi di chiusura e all’estatica élan vital che vi è contenuta, vedendo come sussidiaria la descrizione del compagno morto nella prima sezione, si potrebbe ugualmente sostenere che Ungaretti stia in verità celebrando le qualità energizzanti della guerra: la sua possibilità di stimolare il corpo e la mente, e la capacità della morte di aumentare l’appetito per la vita. Infatti, nelle sue note introduttive a Vita d’ un uomo, Ungaretti fa un commento che sembra in relazione per molti versi con il contesto di ‘Veglia’ (con la sua enfasi sulla necessità d’espressione, e la sensazione di sentirsi più vivo quando la morte è più vicina) che spinge a dare credibilità a quest’ interpretazione alternativa:
C’è volontà d’ espressione, necessità d’espressione, c’è esaltazione, nel ‘Porto Sepolto’, quell’esaltazione quasi selvaggia dello slancio vitale, dell’appetito di vivere, che è moltiplicato dalla prossimità e dalla quotidiana frequentazione della morte. Viviamo nella contraddizione (‘Nota introduttiva’, p. 521).
I sentimenti espressi qui da Ungaretti sono molto vicino ai principi futuristi, specialmente alla celebrazione futurista del dinamismo; infatti, dietro il termine ‘slancio vitale’ c’è un’allusione a Henri Bergson, filosofo francese le cui lezioni Ungaretti aveva avidamente frequentato al Collège de France: Bergson tentò di sostituire il Darwinismo e la sua teoria della selezione naturale con la sua teoria dell’ élan vital, sostenendo che è lo ‘slancio vitale’, e non la selezione naturale di Darwin, ad essere al cuore dell’evoluzione della razza umana. Si può qui accostare all’ungarettiana selvaggia glorificazione della voglia di vivere, intensificata dalla vicinanza e dalla frequenza della morte, questo passaggio del manifesto futurista che esalta il pericolo della guerra e le energie e la noncuranza da essa provocate:
Noi vogliamo cantare l’amore del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità. Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia (...). Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo e il pugno (...). Non v’è bellezza se non nella lotta (..). Noi vogliamo glorificare la guerra - sola igiene del mondo - il militarismo, il patriottismo.3
Certamente la carica di aggressività è maggiore in questa dichiarazione futurista che nella citazione di Ungaretti, ma ciò nonostante, i due passaggi contengono un atteggiamento simile. Questo mette in discussione la visione generalmente accettata che sebbene Ungaretti e i Futuristi abbiano molto in comune in fatto di stile, essi siano in disaccordo nel loro atteggiamento verso la guerra. Noto 4, per esempio, è dell’avviso che mentre i Futuristi ponevano in rilievo i tratti spettacolari e dinamici della guerra, Ungaretti enfatizzava soltanto le sue atrocità, incapace di trovare nella guerra alcun valore o elemento di ispirazione. Malgrado questa posizione, esistono ulteriori prove a supporto del comune terreno ideologico che potrebbe essere esistito tra Ungaretti e i Futuristi. Basti pensare alle strade che essi presero dopo la fine della guerra: i Futuristi si unirono ai Fascisti di Mussolini e Ungaretti divenne il corrispondente da Parigi del Popolo d’Italia di Mussolini. Parlando della posizione di Ungaretti rispetto a questo giornale, Papi 5 sostiene che Ungaretti fu più un amico di Mussolini che un simpatizzante Fascista, e che ciò che egli ammirava in Mussolini era lo spirito rivoluzionario più che la sua dottrina politica. Sebbene questi argomenti possano scusare la simpatia di Ungaretti per Mussolini e i suoi contributi al Popolo d’Italia, essi sono in contrasto con il fatto che nel 1927 Ungaretti scrisse un articolo intitolato ‘Originalità del Fascismo’ 6 nel quale parla della ‘magnificenza che lievita in questo nostro movimento’; e anche con il fatto che un pezzo (scritto in francese nel 1931) intitolato ‘Histoire de Dada’ 7, sia firmato ‘Giuseppe Ungaretti, fasciste’ (i corsivi sono miei). Inoltre, nelle numerose lettere scritte da Ungaretti a Mussolini tra il 1922 e il 1942, Ungaretti spesso esprime la sua completa ed inequivocabile approvazione e il suo appoggio al regime fascista.8 Le implicazioni di tutto ciò in ‘Veglia’ sono inquietanti: nonostante l’apparente affermazione di rifiuto della guerra, questa lettura della poesia potrebbe ben essere rovesciata e, contrariamente alla visione di Noto, Ungaretti potrebbe presentare la guerra come una fonte d’ ispirazione.
Nondimeno, un’ulteriore considerazione degli ultimi versi sembra portarci, di nuovo, alla prima interpretazione – quella sostenuta da Ossola. Pochi italiani potrebbero leggere l’affermazione di Ungaretti ‘Non sono mai stato / tanto / attaccato alla vita’senza che un’altra gli suoni nelle orecchie: ‘E non ho amato mai tanto la vita’ – dichiarazione alla fine dell’aria, ‘E lucevan le stelle’, del terzo atto della Tosca composto da Giacomo Puccini su un libretto italiano di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa e presentato per la prima volta al Teatro Costanzi di Roma il 14 gennaio, 1900. La prima di Parigi era all’Opéra Comique nel 1903, e prima dell’inizio della Guerra fu eseguita in più di 80 città in tutto il mondo. L’aria ‘E lucevan le stelle’ è cantata dall'amante di Tosca, il pittore Mario Cavaradossi (tenore) in attesa della sua prossima esecuzione. Scritto in re minore, è una delle arie d'opera più famose di Puccini.9 Ungaretti aveva senz’ altro buona conoscenza del maggiore repertorio operatico italiano.10 L’eco di Puccini nell’ultimo verso di ‘Veglia’ non può non essere intenzionale, e le somiglianze tra la poesia e l’aria di Cavaradossi non sono limitate alle dichiarazioni finali sull’amore e sulla vita. Ungaretti ci dice che mentre giaceva di fianco al suo compagno morto ‘ho scritto lettere piene d’amore’. Prima dell’aria di Cavaradossi, il suo carceriere gli permette di scrivere la sua ultima lettera a Tosca (‘il mio ultimo addio’) e l’aria segue nella forma di una reminiscenza che evolve dal testo della lettera: il carceriere ammonisce, ‘Scrivete’, e le istruzioni di scena sono ‘Cavaradossi rimane alquanto pensieroso, quindi si mette a scrivere … ma dopo tracciate alcune linee è invaso dalle rimembranze, e si arresta dallo scrivere’. Così come sottolineano l’atto dello scrivere sia la poesia - dove il verbo, ‘ho scritto’, è posizionato su una riga da solo - che l’aria, tutt’e due evocano anche il cielo stellato: Cavaradossi canta di un precedente rendez-vous con Tosca sotto il cielo stellato (‘E lucevano le stelle’); il compagno di Ungaretti giace morto sotto una luna piena (‘con la sua bocca / digrignata / volta al plenilunio’). Questi echi pucciniani in Ungaretti potrebbero essere ritenuti un’enfasi del senso di precarietà dell’esistenza: Cavaradossi è sul punto di essere ucciso, e Ungaretti sente che anche lui, potrebbe morire come il suo amico, essendo i soldati, come ci ricorda la poesia intitolata ‘Soldati’, ‘come d’autunno / sugli alberi / le foglie’. In entrambi i testi il protagonista soffre dell'amara ironia dell'essere sull'orlo della morte quando la natura che lo circonda è bella: c’è una luna piena nella poesia di Ungaretti; Cavaradossi nella sua aria ricorda i suoi incontri appassionati con Tosca nell’orto profumato sotto un cielo stellato. In tutt’ e due i testi i protagonisti sentono vivamente l'amore verso gli altri e il desiderio di esprimerlo per iscritto: Ungaretti scrive ‘lettere d'amore’ in trincea; Cavaradossi inizia una lettera d'amore per Tosca, a cui si riferisce nell’aria come il suo ‘sogno d'amore’, ricordando i loro ‘dolci baci e languide carezze’. Ma probabilmente il concetto che più unisce la poesia di Ungaretti e l'aria di Cavaradossi è la sensazione di solitudine: ‘la congestione’ delle mani del compagno di guerra di Ungaretti 'penetrano' nel suo 'silenzio'; Cavaradossi va alla sua esecuzione completamente solo e 'disperato'. Entrambi i protagonisti nel loro confronto solitario con la morte desiderano aggrapparsi a una cosa: la vita; e la loro tenacia è rafforzata nell'allitterazione della ‘t’ in entrambe le loro osservazioni conclusive: 'stato / tanto / attaccato alla vita'; ‘amato mai tanto la vita '. Sia la poesia che l’aria concludono significativamente sulla parola fortemente accentuata, ‘vita'.
A differenza di Verdi, Puccini non è un compositore associato a sentimenti nazionalisti, ma Ungaretti, facendo eco dell’opera Tosca nella sua poesia, potrebbe voler mettere in evidenza il proprio patriottismo e lealtà. Tale fu il successo di Tosca che l'aria di Cavaradossi, in un certo senso, fu ed è tuttora, un simbolo, di Roma dove è ambientata l'opera - Tosca si suicida notoriamente gettandosi dal parapetto di Castel Sant'Angelo nel Parco Adriano di Roma - e Ungaretti ha sicuramente inteso la sua eco nella sua poesia come un richiamo all’italianità. Pertanto, nonostante l'eco a Puccini sembrasse richiamare sentimenti contrari alla guerra - sottolineando un senso di solitudine e disperazione di fronte alla morte, e un tenace aggrapparsi allo scrivere, all’amore, e alla vita - contiene anche una sfumatura di patriottismo che sembra concordare con la sua dimensione futurista e pro-guerra precedentemente spiegata.
Tutte le poesie di guerra di Ungaretti seguono lo stesso modello, offrendo, apparentemente, con il loro uso suggestivo e ambiguo del linguaggio e della sfumatura, due interpretazioni radicalmente opposte. Ma i sentimenti proto-fascisti che si nascondono sotto la superficie non dovrebbero essere ignorati a favore delle tradizionali interpretazioni contro la guerra. Mostrano quanto disperatamente Ungaretti abbia sofferto della sua nascita in Egitto fuori dall'Italia, rendendolo un déraciné desideroso di identificarsi in qualsiasi modo con l'Italia e con ‘il popolo d’Italia’, anche se questi mezzi di identificazione sarebbero potuto essere considerati, a livello politico, errati, associandolo con quella che sarebbe diventata più tardi una leadership dispotica e razzista. Anche questi disaccordi e ‘attriti’ interiori di Ungaretti vengono esaminati nella conclusione della nuova edizione del mio libro che verrà pubblicato a breve.
Note
1. Ungaretti, G., L’Allegria in Vita d’un uomo. Tutte le poesie, a cura di L. Piccioni, Milano, Mondadori, 1969.
2. Ossola, C., Ungaretti, Milano, Mursia, 1975, p. 120.
3. Marinetti, F. T., ‘Le Futurisme’, in Le Figaro, 20 feb, 1909. In italiano: ‘Fondazione e Manifesto del Futurismo’, Poesia, feb-marzo, V, 1-2, 1909, pp. 2-8. Vedi anche I Futuristi, a cura di F. Grisi, Roma, Newton Compton Editori, 1990, pp. 25-32.
4. Noto, N., La spazialità poetica nell’opera di Ungaretti, Tipolito, Celebes, 1976, p. 114.
5. Papi, Il Primo Ungaretti, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 1988, p. 154.
6. Ungaretti, G., Saggi e interventi, Vita d’un uomo, a cura di M. Diacono e L. Rebay, Milano, Mondadori, 1974, pp. 1149 – 53.
7. Ungaretti, G., Saggi e interventi, p. 38.
8. Vedi Carey, J., Three Modern Italian Poets, New York, New York University Press, 1969.
9. E lucevan le stelle Ed olezzava la terra Stridea l'uscio dell'orto E un passo sfiorava la rena Entrava ella, fragrante Mi cadea fra le braccia Oh! dolci baci, o languide carezze Mentr'io fremente le belle forme discogliea dai veli! Svanì per sempre il sogno mio d'amore... L'ora è fuggita e muoio disperato! E non ho amato mai tanto la vita!
10.Per esempio, il nome ‘Lindoro’ appare nel titolo ‘Lindoro del deserto, e sebbene, come Ungaretti stesso asserisce, faceva perciò un richiamo alle maschere della Commedia dell’Arte veneziana, il nome potrebbe anche voler fare un'allusione al ‘Lindoro’ di Rossini, entrambi lo schiavo italiano dell’Italiano in Algeri, e il Conte Almaviva travestito nel Barbiere di Siviglia.
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